The Washing Diary: Seta
Un diario alla scoperta dei capi iconici che hanno fatto la storia della moda e del costume e che ancora oggi custodiamo gelosamente nel nostro armadio. Perché un abito è un ricordo, un regalo, qualcosa al quale siamo affezionate e che vogliamo trattare con la massima cura.
Miele, per tutto ciò che ami davvero.
Miele, per tutto ciò che ami davvero.
SETA: Il Kimono
Linea dritta, forma a “T”, colletto, maniche lunghe e un’eleganza senza tempo. Mi riferisco al kimono. Bellezza vivente del patrimonio giapponese, simbolo di una cultura profonda e raffinata, emblema del mistero. Ha vestito donne e uomini con raffinatezza diventando il protagonista assoluto di romanzi, quadri, esposizioni, incontri. E’ incredibile da immaginare, ma quello da donna è composto da almeno dodici parti separate da indossare, unire e fissare seguendo delle regole precise. Per questo motivo esistono in Giappone assistenti professionisti che le aiutano ad indossarlo (se siete in cerca di lavoro lo terrei in considerazione). Il kimono è come una mappa da leggere e i veri esperti possono infatti capire molte cose osservandolo attentamente. Ad esempio come e dove è stato creato, per quale occasione, da chi è stato indossato, lo stato civile e la classe di appartenenza di chi l’ha usato.
Tutta la sensibilità per l’arte e la bellezza viene racchiusa in questo capo e la cosa che più mi affascina è sapere che la fodera interna è di una stoffa più preziosa rispetto a quella utilizzata per l’esterno. Questa è la magia della cultura giapponese. Mi stupisce infinite volte perché dà più importanza all’essere che all’apparire, racchiudendo tutta le bellezza nel punto a contatto con il cuore e con l’anima. Non è romantico? Quando pensiamo al kimono immaginiamo spesso la geisha, il simbolo più incredibile e indecifrabile di un paese sensuale ed esotico come il Giappone di fine ‘800 e inizio ‘900. La parola, letteralmente tradotta significa “persona esperta nelle belle arti, nelle belle maniere” che ha il compito di allietare i momenti con conversazioni, canzoni, danze delicate e un’infinita grazia rappresentata dai gesti, dagli sguardi e dall’abbigliamento.
Al contrario ad esempio dei kimoni delle “malko”, le ragazze danzatrici che studiano per diventare geishe, molto più colorati e sgargianti. Pensate che è la sola rotazione del collare del kimono e se-gnare il passaggio da malko a geisha. Un dettaglio che cambia una vita, un capo sempre scelto con estrema cura per adattarsi in maniera unica al carattere della debuttante considerando anche l’ambiente in cui essa viene introdotta.
Ma dovete sapere che questo capo ha attraversato le epoche cambiando infinite volte. Le linee si sono stravolte, così come i colori, le stoffe, le stampe.
Inizialmente tutti i dettagli erano influenzati dall'abbigliamento tradizionale cinese, ma durante il pe-riodo di isolamento il Giappone sviluppò una cultura propria e una sensibilità verso l’arte che di-venne protagonista anche sugli abiti, inizialmente molto voluminosi, rigidi e fatti di tanti colori diffe-renti. Al tempo dei samurai la linea dei capi diventa invece piuttosto semplice e nel periodo Meiji (1867-1911) si assiste ad una forte influenza occidentale che porta la corte imperiale a indossare abiti ispirati a quelli delle potenze occidentali. La storia vuole che il kimono vero e proprio nasca esattamente in questo periodo per contrastare lo sviluppo dell’abito occidentale. Con la successiva evoluzione del telaio e con l’avvento della tintura chimica nasceranno colori più brillanti, fantasie più originali e sfumature più intense fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, che porterà ad un calo delle lavorazioni e dei metri di stoffa utilizzata. I successivi anni saranno influenzati (come tutta la moda) dalle tendenze dell’epoca, ma il kimono è e sempre sarà radicato nelle radici della cultura giapponese continuando ed essere indossato nelle occasioni più importanti.
Delicato, elegante, in seta pura, questo capo ha bisogno di molte attenzioni.
Vi spiego subito di cosa si tratta. Immaginate una struttura ad esagoni bombati che forma una file pellicola d’acqua con lo scopo di ridurre sensibilmente l’attrito tra i capi e il cestello, sul quale la biancheria scivola dolcemente. Il diametro ridotto dei fori impedisce inoltre la penetrazione di corpi estranei nella vasca d’acqua riducendo anche al massimo le sollecitazioni meccaniche a cui sono soggetti i capi e quindi il rischio di rovinarli o di tirarne i fili.
Tra l’altro (e scusate se è poco) grazie al programma Trattamento Seta delle asciugatrici Miele, i capi in seta vengono asciugati in modo delicato per impedire la formazione di pieghe. Ri-cordatevi che i capi in seta andrebbero stirati leggermente umidi o con solo vapore perché i fila-menti sono molto sensibili alle alte temperature usando la soletta antiaderente sul ferro da stiro che impedisce si formino punti di lucidità. E per quanto riguarda il detersivo? Per trattare efficacemente i capi in seta Miele consiglia il detersivo liquido WoolCare sviluppato in laboratorio e ideale anche per la lana e qualsiasi altro capo in tessuto delicato, dispo-nibile anche in pratiche caps monouso. Dimenticatevi della lavanderia, dei lavaggi a secco o di quelli a mano, da oggi per le cose a cui teniamo di più ci pensa Miele, come la mia vestaglia ad esempio.
SETA: La Vestaglia
A Compiègne, nel nord della Francia, viene gelosamente custodita una vestaglia di seta verde smeraldo appartenuta a Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione e amante di Napoleone III.
La storia ci insegna che nulla accade per caso e ci sono parole e atti che hanno cambiato vite, percorsi, destini.
“Cara cugina, cercate di riuscire ad influenzarlo usando il mezzo che più ritenete adatto”. Queste sono le parole scritte dal Conte di Cavour rivolgendosi alla cugina Virginia affinché riuscisse a ricevere l’attenzione di Napoleone III. L’Italia aveva infatti estremo bisogno del suo appoggio prima della conclusione del congresso di Parigi, e su Virginia Oldoini pesava una grande responsabilità.
Era così bella, intelligente e talmente astuta da saper perfettamente come muoversi all’interno dei salotti, anche quelli della politica. Anticonformista per natura si rifiutava di indossare busti e biancheria intima, preferendo linee morbide e senza sostegno, soprattutto le vestaglie. Fra tutte indosserà quella verde smeraldo per sedurre Napoleone III in una notte che cambierà la storia dell’Italia.
In effetti questo capo così sensuale potrebbe cambiare le sorti di molte vite amorose, a patto che vengano riposte le orribili (ma comodissime) tute in pile nel cassetto più remoto dell’armadio, quello che si raggiunge solo con scala pieghevole tanto per intenderci. E’ arrivato il momento di far tornare in auge la vestaglia, lo dico alle donne ma anche agli uomini perché mentre la pancia cresce (per tutti) il desiderio cala (per tutti).
Ma è pur vero che un tocco di seta sulla pelle non ha mai fatto male a nessuno e indossata la mattina sopra al pigiama dà un tocco sofisticato e fa passare in secondo piano le occhiaie, il viso pallido e i capelli arruffati perché la seta è da sempre simbolo di eleganza, fascino e la sua storia non è da meno.
La leggenda narra che la fibra venne scoperta dall’imperatrice cinese Xi Ling Shi e che la stessa Cina tenne segreta per secoli la bachicoltura. La seta raggiunse l’occidente sono nel 550 d.C. grazie ad alcuni monaci che importarono uova di baco nascoste nel fondo di alcune canne, dando così fine al monopolio cinese su questo meraviglioso tessuto. Le uova sono appunto l’elemento fondamentale per la nascita della seta perché dovete sapere che il baco nasce sotto forma di verme e si ciba unicamente di foglie di gelso. Dopo circa quattro settimane diventa adulto e inizia a formare un filamento (la cui lunghezza è incredibilmente variabile tra i 300 metri e 3 chilometri) con il quale crea un bozzolo.
Al suo interno avviene la vera trasformazione e il baco diventa crisalide per poi divenire una meravigliosa farfalla che depone le uova prima di uscire dal guscio e volare via. I bozzoli vengono quindi lavorati mediante il processo di “sgommatura”, che permette di eliminare la sericina. I fili del bozzolo vengono perciò arrotolati su un apposito macchinario per poi essere lavorati al filatoio. A seconda della lavorazione i tessuti di seta che si possono ottenere sono moltissimi, ad esempio il crepe, tussah, chiffon, georgette, taffettà, raso, solo per ricordarne alcuni.
Inoltre, per 1 kg di seta grezza sono necessari circa 10 kg di bachi da seta, per 3 kg oltre 25 gelsi e per un abito in seta quasi 70 kg di foglie di gelsi.
Non c’è quindi da meravigliarsi se è considerata una delle fibre esistenti più pregiate e va trattata con la massima cura.
Si distingue da sempre per la sua lucentezza, raffinatezza e leggerezza. Il suo aspetto e la delicata sensazione che procura al tatto l’hanno resa inconfondibile ed elegante. Proprio per queste sue caratteristiche richiede un trattamento speciale e Miele ha abolito il lavaggio a mano anche per la seta creando un apposito programma che protegge questo prezioso tessuto.
Il procedimento di lavaggio rispetta le sue caratteristiche ed è reso ancora più delicato dall’innovativa superficie del cestello a nido d’ape. Miele consiglia inoltre di utilizzare il detergente WoolCare e di asciugare la seta nell’asciuga biancheria con il programma Trattamento seta, attraverso il quale gli indumenti vengono asciugati in modo delicato per impedire la formazione di pieghe. Un altro consiglio? Ricordatevi che durante il momento dello stiro, essendo i filamenti della seta sensibili alle alte temperature, i capi dovrebbero essere stirati leggermente umidi, al secondo livello o con semplice vapore e utilizzando l’apposita soletta antiaderente sotto il ferro da stiro impedisce che si formino punti di lucidità. A noi non resta che indossare le nostre vestaglie più belle, a tutto il resto ci pensa Miele.
SETA: Il Pigiama
Se Marilyn Monroe dormiva solo indossando qualche goccia di Chanel N° 5, io che indosso il pigiama ci dormo che è un piacere.
Ci sono le fan della biancheria sexy (anche se poi quando sono sole indossano tutt’altro), quelle della t-shirt e della felpa oversize, ci sono quelle della sottoveste e poi quelle del pigiama che ha a sua volta delle sottocategorie. Esiste quello felpato e inguardabile (che sarà sicuramente comodo ma che Dio ci aiuti), e poi esiste quello dal taglio maschile, un po’ meno confortante ma sexy ed elegante.
Le amanti di questo modello sono così convinte al punto di indossarlo anche fuori dal letto, per non dire fuori di casa. La tendenza degli ultimi anni ha visto molte donne vestite con capi ispirati alle linee del pigiama maschile, talmente ispirati che sembravano dei veri e propri pigiami (e vi assicuro che alcuni lo erano davvero). Ma non è un caso, perché la storia ci insegna che qualcuno lo ha fatto prima di noi moltissimi anni prima. Il pigiama nasce nell’impero ottomano quando si indossavano ampi pantaloni legati in vita da una cinta e coperti con una tunica lunga fino alle ginocchia. Questo tipo di abbigliamento arrivò in Occidente verso il 1870 attraverso i coloni britannici che rientrarono dalle loro “missioni” continuando ad indossare quei capi esotici. Pensate che all’inizio del 1900 gli uomini indossavano abitualmente le camicie da notte e lo so che in questo instante state immaginano il vostro fidanzato, padre o fratello in quei panni.
Il mercato offriva modelli in cotone, flanella o seta per gli uomini, mentre le donne potevano scegliere tra modelli molto più colorati in rayon o seta. Ma la vera rivoluzione arrivò nel 1943 grazie al cinema, quando una meravigliosa Claudette Colbert indossò un pigiama da uomo nel suo film “Accadde una notte”. Improvvisamente la tendenza prese piede e le donne iniziarono a indossare i modelli maschili. Sarà una stilista dalla visione futurista e femminista come Chanel a sfruttare l’occasione creando versioni haute couture in tessuti luminosissimi e morbidissimi, al fine di diffondere ancora di più l’utilizzo di questo capo anche alle donne. Il pigiama maschile indossato fuori dal letto era inizialmente considerato provocatorio e adatto solo allo star system o alle cortigiane eppure, siccome il coraggio è donna, ci fu chi iniziò ad indossarlo in spiaggia creando così il pigiama beach che anticipò quello da sera, il quale raggiunse il suo più estremo successo nel 1930 per poi ritornare in auge negli anni ’60 sotto forma di pigiama palazzo da indossare al posto degli abiti eleganti. Personalità come Marlene Dietrich, Isadora Duncan, Zelda Fitzgerald e Luisa Casati, erano follemente innamorate del pigiama in seta e lo indossarono in moltissime occasioni nel corso della vita. Attualmente questo capo continua ad apparire sulle passerelle e offre un’eleganza minimalista e senza tempo.
A questo ci ha pensato Miele creando l’apposito programma che rispetta tutte le caratteristiche della seta durante il lavaggio. Il segreto sta nell’innovativa superficie del cestello a nido d’ape che grazie a degli esagoni bombati forma una sottile pellicola d’acqua per ridurre l’attrito tra i capi delicati e il cestello. Anche l’utilizzo del corretto detersivo è di vitale importanza per mantenere il vostro look perfetto. In questo caso Miele consiglia quello liquido WoolCare sviluppato in laboratorio e ideale anche per la lana e qualsiasi altro capo in tessuto delicato, disponibile anche in pratiche caps monouso. E ricordatevi che non dovrete più avere paura di mettere la seta in asciugatrice perché grazie al programma Trattamento Seta di Miele, i capi vengono asciugati in modo delicato per impedire la formazione di pieghe. Indossate pigiami meravigliosi, dentro e fuori dal letto e sedetevi sul divano a bere infinite tazze di caffè bollente inzuppando qua e là qualche pettegolezzo con le amiche e facendo invidia a qualche nemica. Potreste vantarvi ad esempio dei vostri look freschi di bucato, degli elettrodomestici che vi risolvono la vita, o di quanto vi sia riuscita bene la ciambella con il buco o che a voi, la fetta biscottata con la marmellata non cade mai dalla parte sbagliata, ma nel caso accadesse sapreste come togliere la macchia.